R I C O S T R U I RE
Anno XVI n. 20 - Satira - Umorismo -
Varia Umanità - Esce quando scoppia: ogni giorno.
Ora su
Internet
Storia di un Italiano di
Sinistra![]()
La mafia a Catania come sistema di potere. Questa l'intuizione di Giuseppe Fava, l'unico morto di mafia a Catania. Per il "Sistema" fin lì (1980) la mafia era a Palermo e quella catanese era solo delinquenza comune.
Il Giornale del Sud,
unico esempio di giornalismo libero in una Città, nella quale la stampa
partecipa al Sistema, preoccupò la proprietà. Alla fine lo
licenziarono:quel giornale era nato per portare acqua al "Sistema",
convinti che il denaro avrebbe piegato anche lui: tutto un malinteso, per i
proprietari, una conferma per Pippo Fava. Sì, aveva visto giusto.
Si mise in proprio e con alcuni ragazzini, fra i quali il figlio Claudio,
fondò il mensile, I Siciliani. Davvero convinto che la Verità potesse
avere cultori, e che bastasse essere nel giusto, si buttò a capofitto sul ventre molle di una Città
strana.
Nitto Santapaola ne decretò la morte. Fu freddato la sera
del 5 gennaio 1984.
Come accolsero Drago & Co. la notizia? Con una minaccia: continuate così che
se i Cavalieri del lavoro si trasferiranno altrove, tornerete ad essere i pezzenti di
sempre. "La mafia
a Catania non esiste" faceva eco il
quotidiano locale.
La morte di Pippo Fava fu subito rimossa come la cattiva coscienza: no, morì per questioni
di corna. Per dieci anni fu un depistaggio continuo. Anche il conto corrente fu setacciato.
Ne raccolse l'eredità morale il figlio Claudio. Freddo, lucido, quanto distruttivo:
il Sistema tremò. Diede addosso al quotidiano locale,perché convinto che con la morte del
padre c'entrasse [1]: ammutolirono, corteggiavano, ma la risposta era sempre maschia e sdegnosa. Mai
che si fosse aperto ad un sorriso: freddo, lucido, distruttivo fece sperare la Città. Ora
è solo un eurodeputato.
Nota
[1] Scrive Claudio Fava ne La mafia comanda a Catania:"Per
cogliere il senso delle vicende di Catania, le sue fortune e le sue
sventure, bisogna avere ben chiaro il ruolo che ha svolto la stampa
catanese all'interno del "partito trasversale". Un ruolo determinante:
cavalieri, giudici, mafiosi e politici non avrebbero potuto tessere la
trama di interessi e di solidarietà, se non fossero stati protetti da
La Sicilia (il quotidiano di Mario Ciancio, Ndr) dalla sua
capacità di filtrare le notizie,di intorbidare la verità, di tenere
costantemente basso il livello di tensione nell'opinione pubblica"(...)
Nell'estate del 1984 accadde di peggio. C'è un pentito, si chiama
Luciano Grasso e ha intenzione di vuotare il sacco (...) vuole parlare
del delitto Fava e di un giornalista di Ciancio, Salvo Barbagallo,
che gli aveva commissionato per conto d'altri l'uccisione del
giornalista catanese [2]: Grasso non se l'era sentita d'accettare quell'incarico,
aveva intascato l'anticipo e se l'era squagliata. Un anno dopo, in
carcere a Belluno per una rapina, aveva saputo della morte di Fava. E
aveva deciso di parlare. Il 17 luglio il sostituto Giuseppe Torresi
parte per il Veneto. E' una missione riservata, ne sono a conoscenza
solo altri due giudici. (...) Occorre agire in fretta e con discrezione:
Grasso potrebbe avere paura e rifiutarsi di parlare. La mattina dopo,
quando Torresi entra nel carcere di Belluno, Luciano Grasso ha già
ricevuto in omaggio una copia de La Sicilia fresca di stampa.
C'è la sua foto, quattro colonne di articoli e un titolo che non lascia
dubbi: "Un detenuto pentito svelerà i nomi degli uccisori di
Fava". Per la prima volta in Italia un giornale aveva anticipato le
rivelazioni, bruciando sul tempo perfino il magistrato che era stato
incaricato di raccogliere quella deposizione. Ma Asciolla (l'autore
del trafiletto, Ndr)aveva fatto di più: si era procurato la foto di
Luciano Grasso, aveva indicato il carcere in cui
il pentito si trovava detenuto, aveva pubblicato persino l'indirizzo
della sua famiglia. Delle due l'una: un imperdonabile scorrettezza
giornalistica e una clamorosa violazione del segreto istruttorio; oppure
un maldestro , plateale
tentativo di intimidire quel testimone
?" .
>
Nota
Scrive il Giudice Istruttore Alfredo Gari nella sentenza istruttoria n.572/84 del 6/6/ 1991: " Le accuse nei confronti del giornalista Salvatore Barbagallo si sono manifestate destituite di fondamento, inverosimili, ed incongrue".
Prospero Pirotti